Descrizione
Veri i fatti, immaginari i personaggi
All’inizio del secolo scorso Lanzo d’Intelvi era la capitale indiscussa del nascente turismo montano del centro e alta Lombardia. Ville dalle architetture eleganti, hotel con centinaia di stanze, bella gente con i suoi riti, ma anche ambiguità, lusso e aristocratiche donne, tresche e tradimenti.
Il proscenio è quanto di meglio la natura proponga: laghi (di Como e di Lugano), dolci declivi, tra borghi montani, boschi e pascoli, che accolgono carrozze a più cavalli e gite al Ceresio con la funicolare, finti pittori caricaturisti che si muovono tra la valle d’Intelvi, la Tremezzina e il lago.
In questo stupefacente quadro, ora totalmente perduto, si muovono altre comparse: sono i contrabbandieri con le loro felpate trame. Alleanze, doppi giochi, fino al clamoroso conflitto a fuoco tra la Guardia di Finanza e cento spalloni, con la copertina della Domenica del Corriere dedicata all’episodio.
Ma c’è anche un funzionario delle dogane, in incognito, che ha il dono dell’osservazione e, quello ancor più pregiato, del saper intessere il bel racconto.
Al contrabbando praticato per forza ben più che per amore, nelle zone di confine, ha spesso corrisposto un interesse narrativo, tanto che fino alla metà del Novecento non è stata infrequente la pubblicazione in appendice, sui quotidiani locali, di storie in cui si romanzava non solo la vita perigliosa degli “spalloni”, ma anche quella non meno aspra delle guardie di finanza. Contrabbandieri e finanzieri hanno costituito giocoforza la variante a ridosso della frontiera di un classico antagonismo, eterni amici-nemici accomunati dallo spirito quasi agonistico della contesa e separati soltanto dalla fragile barriera della legalità.
Materiale utile alla narrativa locale andò così accumulandosi, ma a trascrivere le vicende con la partecipazione di chi le aveva vissute fu Giuseppe Valesi con il romanzo “Il Ducato dei contrabbandieri” apparso nel 1950, dove con una minuziosa descrizione delle avventure di un temerario “spallone”, noto per l’audacia e la spavalderia con cui sapeva eludere la vigilanza delle guardie di finanza, riuscì a scandagliare gli stati d’animo dei personaggi, a cominciare dal protagonista Giorgio Malamenti.
Valesi, nativo di Castell’Arquato (Piacenza), nel 1911 appena diciottenne, si arruolò nella Guardia di Finanza divenendo negli anni Trenta comandante di Brigata proprio nella lariana Valle d’Intelvi, quando contrabbandieri di quella tempra erano ben vivi.
“Veri i fatti, immaginari i personaggi” è la premessa dell’autore, ma si può affermare senza dubbio che il personaggio principale del romanzo adombrasse proprio un notissimo contrabbandiere intelvese che, con le sue gesta, alimentò l’epopea del contrabbando sconfinando quasi nella leggenda. In ogni caso la sua fama superò di gran lunga l’area lariana e lo stesso cognome, in fondo, aiuta storiografi e ricercatori ad individuarne l’identità. E non ci sono incertezze neppure nell’identificazione del brigadiere Valeri evocato nel romanzo, non solo per il semplice scambio di consonante, ma perché Valesi medesimo nel risvolto editoriale di un altro libro (“Dal blasone al deschetto”) l’avrebbe affermato a chiare lettere: “Valesi e Valeri sono la stessa persona”.
“Il Ducato dei contrabbandieri” perciò si può leggere come un repertorio, quasi una piccola enciclopedia pratica del contrabbando di cui elenca la varietà di tipologie catalogandone azioni, modi , gerarchie, costumi, ruoli, linguaggi, itinerari, espedienti, trucchi: ma soprattutto dalle sue pagine affiora il lato nascosto dello “sfroso”, quello conosciuto solamente da coloro che lo hanno realmente vissuto, da una parte o dall’altra, fatto di paure, incertezze e delusioni di fronte a rischi, pericoli, inganni, tradimenti, corruzione, cupidigia, violenze, sfide e disfatte. Tutti stati d’animo dell’uomo, certo, ma che nel mondo del contrabbando di fatica acquisivano una dimensione ben degna di un romanzo, per così dire, microstorico.